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Parliamo di biblioteche. No, parliamo di torri. Parliamo di torri e di biblioteche. Parliamo di Babele. Parliamo del potere e del sapere di Babele.

“Non fermatevi, dovete costruire la vostra torre” canta Bennato in una sua canzone, La torre di Babele, “che serve a dimostrare che l’uomo è superiore a ogni altro animale”. Semplice, parodistico e canzonatorio, l’attacco del cantautore italiano sfrutta il mito biblico per restituirci la visione disillusa di come la nostra specie abbia tentato in tutti i modi di conquistare il mondo imponendosi con la propria forza tecnica e cercando di costruire un sapere esatto e definitivo. È proprio prendendo a tema la costruzione di un sapere organico che il mito di Babele ci ricorda l’ambizione dell’uomo a superare se stesso raggiungendo il cielo e, al contempo, mettendo in luce la sua fragilità. La stessa fragilità che anche il celebre scrittore argentino Borges ci ricorda nel suo racconto breve, non a caso intitolato La Biblioteca di Babele. Qui l’immagine di un labirintico deposito di libri è la perfetta metafora per raffigurare il sovrapporsi di tutte le possibili costruzioni teoriche umane. La maggior parte di esse risulta però priva di senso e significato, rendendo la ricerca del sapere compiuto un’ardua impresa, se non semplice follia. La biblioteca diventa così il luogo dove la ragione umana si perde nell’infinità delle proprie potenzialità, lo scrigno di un senso che c’è ma che si dimostra necessariamente introvabile, dando scopo regolativo a una struttura che forse, di per sé, un senso non ce l’ha.

Nonostante queste considerazioni, si può dire che non mancò chi nel corso della storia cercò di tirar le fila della conoscenza archiviandone le diverse componenti, tracciandone forme e schemi tra i più variegati. Una delle più celebri di queste mappature rimane sicuramente quella delle arti liberali. Ci avvaliamo dunque della volta affrescata di un’altra biblioteca, questa volta esistente, per descriverne la struttura. Il soffitto in questione è quello della Real Biblioteca de San Lorenzo de El Escorial, in Spagna, dipinto da Pellegrino Tibaldi e che rappresenta secondo un ordine ben preciso le sette arti: Grammatica, Retorica e Logica, meglio note come il Trivio, seguite da Matematica, Geometria, Musica e Astronomia, cioè il celebre Quadrivio. Le discipline non sono tuttavia semplicemente disposte nella volta secondo questa suddivisione di stampo classico, ma nel loro susseguirsi costruiscono una specie di scala in grado di collegare il linguaggio umano all’oggetto più sommo del suo discorrere, il cielo. Dagli elementi linguistici costitutivi infatti si passa al loro uso persuasivo e a quello argomentativo, così da renderli capaci di fondare i saperi esatti; scienze dei numeri, dei loro rapporti, della spazialità e del moto degli enti spaziali, tutte unite da quell’elemento che sta alla base di ogni ordine, l’armonia.

Sebbene dipinto su una volta cinquecentesca, questo schema è di nota origine tardoantica e accompagnò l’occidente nella sua fase più travagliata, quando la cultura venne nascosta ed arroccata in quei sarcofaghi di sapere che erano i monasteri dell’Europa medioevale. Anche qui le biblioteche giocarono la loro partita da protagoniste, divenendo l’ultimo baluardo di trasmissione di un sapere che aveva più che mai familiarità con la bestia a cui Babele ambisce: il potere. È così che la nostra strada si incrocia con un’altra grande opera che parla di biblioteche e fallibilità della conoscenza, Il nome della rosa. In questo romanzo di Umberto Eco, trasposto anche cinematograficamente, seguiamo infatti con un retrogusto di giallo il tragico incendio di una biblioteca d’invenzione nell’Italia del milletrecento, distrutta dalla lotta tra l’antica concezione conservatrice del sapere e quella nuova della ricerca e dell’innovazione. Queste due disposizioni intellettuali non implicano soltanto un diverso rivolgersi al mondo, ma una diversa gestione proprio del potere. La prima, incarnata nel personaggio di Jorge da Burgos, si avvale di un controllo sugli altri generato dal nascondimento, mentre la seconda, rappresentata dall’intrepido francescano Guglielmo da Baskerville, è caratterizzata da un’agibilità nel mondo potenziata tramite lo sviluppo dei propri mezzi conoscitivi. Il risultato di questo scontro è la distruzione di un intera fetta di conoscenza, facendo riecheggiare nella storia un altro grande incendio di materia culturale: quello della Biblioteca di Alessandria del III secolo d.C., già allora una grave perdita di documenti per il mondo antico.

Le biblioteche di Eco e di Borges (che sono poi la medesima) illustrano dunque come il sapere, poiché intimamente intessuto con il potere, annichili sé stesso, mettendo in luce la propria forza e al contempo la vanità delle strutture teoriche su cui poggia. Ciò senza che venga rifiutato il valore delle agibilità da esso conquistate, anzi, elogiando tale condizione come necessaria per continuare la scalata verso il cielo, sottolineando il fascino che tale conoscenza esercita sull’uomo. Non ci è infatti difficile pensare che sia questo insanabile desiderio di completezza e totale libertà a legare la “scimmia evoluta” alla sua natura più profonda, spronandola a congiungere i due poli costituiti dal proprio pensiero e dal luogo più distante verso cui egli riesca a volgere il proprio sguardo.

Questo articolo appartiene a una serie che il blog sta sviluppando attorno al tema della BIBLIOTECA. Qui segue l’elenco degli altri articoli già pubblicati:

  1. Incontri ravvicinati
  2. La bizzarra biblioteca di Coimbra

2 thoughts on “Continuate a costruire la vostra torre

  1. Pingback: Biblioteche dimenticate | In Vero Vinitas

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